Dal Movimento Internazionale di Solidarietà (IMS)

e da Solidarietà con la Valle del Giordano (JVS)

11 novembre 2017.

Il 7 novembre lo stato di Israele ha demolito quattro case nella Valle del Giordano, rendendo senzatetto quattro famiglie. Alle 6:30 l’esercito israeliano è venuto a fotografare le case e poco dopo tre bulldozer, scortati da circa 30 soldati delle forze speciali Yasam, sono entrati nel villaggio di Jiftlik. Le strade principali sono state chiuse con posti di blocco, impedendo ogni movimento nel villaggio. I soldati israeliani hanno circondato le case disponendosi nei campi circostanti. La famiglia di Abu Khalil Moussa non ha potuto far altro che guardare la loro casa mentre veniva ridotta in pezzi.

Due fratelli hanno abitato con le loro famiglie nella casa che era stata costruita nel 1986. Avevano lavorato per sei anni insieme al loro padre per riuscire a costruire e mantenere la loro casa. Khalil, uno dei due fratelli, dice: “Ho lavorato per questo fin da quando avevo 18 anni. In un’ora hanno distrutto tutto.” Ora le famiglie vivono in una stanza nella casa di un parente. Khalil racconta anche agli attivisti dell’ISM (International Solidarity Movement) e della JVS (Jordan Valley Solidarity) che suo figlio era andato per prendere il suo pallone da calcio prima della demolizione. L’avevano cacciato via, ma più tardi era tornato ancora a cercare tra le macerie, purtroppo senza successo.

Anche la famiglia vicina di Merai Abu Ahmad ha perduto la sua casa. Sono 10 persone che avevano abitato in quella casa da quando era stata costruita tre anni fa. Un vivace ragazzo di questa famiglia mostra agli attivisti dell’ISM dov’era la sua camera. Suo padre Ahmad chiede aiuto a tutti per trovare una nuova casa. “È difficile vivere in queste condizioni,” dice mostrando la tenda arrotolata ricevuta dalla Croce Rossa dopo la demolizione. “Siamo passati dalla nostra casa a questa tenda.” Questa mattina, la famiglia è stata cacciata direttamente fuori casa dai propri letti. E questa è una cosa che hanno sperimentato ormai da generazioni.

Nel 1967 la maggior parte delle famiglie della zona ha dovuto abbandonare la propria casa. La famiglia Merai, che era stata evacuata dal campo rifugiati di Abu Badjad e spinta fino a qui, aveva deciso di restarci. Infatti la zona si chiama ora Da Beit Merai e lo stesso Merai racconta all’ISM e alla JVS che nel 1967 aveva chiesto ai militari che erano arrivati “E ora dove vado? Voi mi cacciate via da qualunque posto.” Stamani era rimasto chiuso nella sua casa, vedendo la demolizione di tutte le case vicine. “E ora la storia si ripete.” Racconta che negli anni settanta l’esercito israeliano aveva rubato dal villaggio circa 400 pecore e le aveva usate per uno zoo turistico di coccodrilli. Se i pastori volevano riavere le loro pecore dovevano pagare quasi lo stesso prezzo di nuove pecore.

Il campo rifugiati di Abu Badjad dove Merai viveva prima di venire a Jiftlik è diventato ora la colonia illegale di Masu’a. Ma la famiglia Merai, così come la famiglia Moussa, nonostante le loro espulsioni, non hanno lo status di rifugiati e nemmeno i documenti d’identità.

In una zona vicina di Jiftlik, gli attivisti di ISM e JVS incontrano un’altra famiglia, quella di Abu Ahram, che ha perduto la propria casa nello stesso giorno. A questa famiglia di senzatetto non è stata data una tenda come alle altre famiglie, così ora vivono tutti in una stanza. Circondato dai bambini, il nipote del capofamiglia sfrattato racconta di come anche loro si sono trovati di fronte a un folto gruppo di soldati che li hanno cacciati dalla loro casa e dalla loro terra. La casa era una delle poche costruzioni in muratura di questa comunità beduina.

Il quarto edificio distrutto martedì scorso era un capannone agricolo costruito sopra un deposito d’acqua. La cisterna è stata gravemente danneggiata e i 50 coltivatori che la usavano non sanno se sarà possibile ripararla. All’interno della struttura c’erano strumenti e macchinari agricoli e i coltivatori non sono riusciti ad evitare che fossero schiacciati dalla demolizione. La cisterna, che aveva una capacità di 170 m3, era stata costruita 17 anni fa e forniva acqua ai campi di fagioli, pomodori, peperoncini e cetrioli. La cisterna e il capannone erano costati 50.000 NIS (12.000 euro). “Oggi costerebbero il doppio” dice il coltivatore Bassil Ibrahimi. Al momento della demolizione c’è stata una fuoriuscita d’acqua che ha distrutto un grande campo di fagioli di 1.000 m2. Ibrahimi racconta che tra il 1988 e il 2000 sono stati distrutti circa 400 m2 di ricoveri per animali e attrezzature.

Le demolizioni vengono spesso fatte in autunno e in inverno quando fa più freddo. Israele proibisce ai Palestinesi di costruire nella Valle del Giordano qualunque infrastruttura o progetto di sviluppo come la bonifica di terre coltivabili, l’apertura di strade agricole o l’ampliamento di reti di irrigazione. Israele inoltre continua a confiscare terre, a demolire case, a impedire la ristrutturazione delle case e delle strade palestinesi esistenti, ma continua nei suoi progetti di espansione degli insediamenti e di sviluppo di infrastrutture per i coloni israeliani nella Valle del Giordano.

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A cura di AssopacePalestina