Noi, lavoratori palestinesi nelle colonie israeliane
Marta Fortunato per Nena News, 27 luglio 2012
Testimonianze dello sfruttamento della manodopera palestinese all’interno degli insediamenti israeliani. Nena News è entrata nella colonia di Tomer nella Valle del Giordano.
E’ ancora notte in Cisgiordania quando i primi bus carichi di lavoratori palestinesi lasciano le città settentrionali di Nablus e Jenin per dirigersi verso la Valle del Giordano. Pulmini da dieci posti straripanti di palestinesi stipati uno sull’altro. Una, a volte due ore di viaggio, per recarsi al proprio luogo di lavoro: tanti chilometri da percorrere ed un check-point da attraversare. Siamo nella colonia di Tomer, a nord di Gerico, a destra della by-pass road 90 che collega Gerusalemme a Tiberiade. Passando veloci in automobile qualcuno potrebbe non rendersi conto che le enormi serre e le infinite distese di coltivazioni sono le terre agricole della piccola colonia che sorge dall’altro lato della strada. Piccole casette col tetto spiovente, una popolazione di nemmeno 300 persone ma un’area coltivabile pari a 366 dunums (1 dunum equivale a 1000 metri quadrati). Tutte terre rubate nel corso degli anni alle comunità palestinesi della Valle del Giordano, a partire dal 1978, anno di creazione dell’insediamento di Tomer.
Sono le 6 del mattino, il sole è appena sorto e i lavoratori palestinesi scendono dagli autobus e si avviano a piedi verso i campi. C’è chi ha un secchio in mano, chi è alla guida del proprio macchinario, e chi rincorre uno dei numerosi trattori di passaggio, prende lo slancio e si siede sul rimorchio. In pochi minuti arrivano nei campi: un’altra giornata di lavoro è iniziata. Pochi vogliono parlare o farsi fotografare, temono la reazione del loro “capo”, hanno paura di essere mandati via e licenziati. “E’ vietato fotografare qui dentro” affermano in molti – “i nostri boss non vogliono che si sappia come vengono trattati i lavoratori”.
“Lavoriamo dalle 6 alle 14, tutti i giorni fuorché venerdì e sabato” ha racconta Mohammed* a Nena News – per 8 ore di lavoro guadagniamo 70 shekel (equivalenti a 14 euro). In un mese non raggiungiamo i 1500 shekel (300 euro)”. E Mohammad è tra i “fortunati” poiché abita nel vicino villaggio di Fasayil e non deve sostenere alcun costo per i trasporti.
Diversa l’esperienza di Amir*: “Vivo a Jenin, tutti i giorni mi alzo alle 4 per venire qui, un viaggio che dura più di un’ora e che mi costa 20 shekel. Quindi di fatto alla fine della giornata guadagno 50 shekel, ho una famiglia da mantenere, una moglie e quattro figli piccoli. Senza aiuti esterni non riesco ad arrivare alla fine del mese”.
“Non solo (gli israeliani) ci hanno rubano le terre” ha continuato Mohammad – ma ci hanno anche costretto a lavorare per loro. Passo le giornata a raccogliere e ad innaffiare le coltivazioni di peperoni e di pomodori. Nel mio villaggio non ho nemmeno l’acqua corrente e sono costretto a comprare i tank da Israele”. Mohammad, come tanti altri, un tempo era un contadino e lavorava la terra che aveva ereditato dal padre. Tuttavia con la costruzione e l’espansione delle colonie e con l’inasprirsi delle politiche israeliane di confisca della terra e delle risorse idriche, i campi agricoli si sono pian piano trasformati in un deserto arido e secco costringendo gli abitanti di molte comunità palestinesi della Valle del Giordano a trovare un’altra fonte di sostentamento. E molto spesso l’esperta forza lavoro palestinese è stata assorbita dalle colonie israeliane. “Il 60% della popolazione di Fasayil lavora all’interno degli insediamenti israeliani” ha raccontato Bassam mentre è alla guida di un trattore in mezzo ad un campo di pomodori – Io lavoro qui da quando avevo 20 anni, ora mi aiutano anche 4 dei miei figli”. Nessuna distinzione di sesso od età. “Ci sono ragazzini di 12 anni che lavorano qui dentro con noi” ha continuato Bassam – lasciano la scuola perché le loro famiglie hanno bisogno di soldi”. E tra le lunghe file di piantagioni di pomodori si intravedono anche molte donne, chine e silenziose, dedite al loro lavoro. “Vengono soprattutto dalle città, da Nablus, Jenin, Tubas o Jericho” ha concluso Bassam.
Nessuno conosce con precisione il numero di lavoratori all’interno di Tomer. Ci sono sia palestinesi che thailandesi, ma come ha spiegato Amir “gli israeliani preferiscono i palestinesi perchè hanno una maggiore esperienza nell’agricoltura e perchè ai thailandesi devono dare anche vitto ed alloggio”. Oltre all’enorme area agricola, l’insediamento di Tomer ha anche un’area per l’imballaggio dei prodotti. I carciofi, le banane, i datteri, i pomodori ed i peperoni di questa colonia vengono impacchettati ed esportati all’estero. E sono gli stessi prodotti che poi ritroviamo ogni giorno sugli scaffali di molti supermercati europei ed italiani.