La pulizia etnica della Palestina continua.
Relazione inviata in data 3 dicembre 2018 da Rashed Khudairy, coordinatore della Campagna Solidarietà Valle del Giordano.
Un dunham [misura agraria equivalente a 1000 mq] dietro l’altro, un villaggio dietro l’altro, una casa dietro l’altra, i nativi Arabi di Palestina affrontano un lento e sistematico genocidio nella loro terra natia. Domenica mattina sono state demolite due case nel villaggio di Fasayil, nel sud della Valle del Giordano, senza che il governo israeliano emettesse un avviso al riguardo.
È dall’inizio degli anni 70 che questo villaggio abitato da 1300 persone affronta gli assalti israeliani diretti alla propria terra, con la costruzione di due insediamenti, uno per lato, e una enorme area agricola proprio di fronte, il tutto a meno di un km di distanza.
Ma è stato nel 2010 che gli Israeliani sono venuti e hanno letteralmente distrutto l’intero villaggio.
Da allora gli abitanti l’hanno ricostruito, ma almeno una volta all’anno c’è da aspettarsi che giorni come quello di domenica si ripetano.
Hassan Mohammed Hussein A’zayed aveva costruito una casa per suo figlio, che è un disabile mentale ed è molto sensibile alle alte temperature.
“Quella casa mi è costata ben 15.000 shekel, non solo per i materiali da costruzione ma anche per l’impianto di condizionamento!“
La casa è durata solo un anno prima di essere demolita domenica, compreso l’impianto stesso.
A pochi metri dalla casa che è appena stata demolita si possono vedere altri tre ammassi di macerie che erano altrettante case, tutte di proprietà di Hassan.
Questa (di domenica scorsa) è stata la settima casa di proprietà di Hassan ad essere distrutta.
“Continuano a distruggerle, a volte avvisano, a volte no, e lo fanno per scelta precisa, non c’è mai modo di sapere quello che stanno per fare”. Hassan ha otto figli.
Aeman Rashaeda, padre di 4 figli, la cui moglie lavora come insegnante nella scuola lì vicina ha subito la stessa sorte di Hassan, ritrovandosi con la casa demolita.
Quando gli Israeliani lo hanno avvicinato gli hanno detto che era proibito costruire e che lui viveva in una zona militare di tiro chiusa. Questo tipo di linguaggio fa presagire poco di buono.
Quando il villaggio fu distrutto completamente 8 anni fa, ci furono 10 famiglie che fuggirono immediatamente.
In questo villaggio ogni famiglia riceve solo 1500 litri di acqua alla settimana, non si riesce mai ad ottenere un permesso per costruire o per coltivare la terra, non si può scavare un pozzo più profondo di 150 m, il tutto messo in atto con la copertura della legge israeliana di occupazione. Prima della guerra dei sei giorni nel 1967 che ha invaso la Cisgiordania, questo villaggio si approvvigionava di acqua da una fonte naturale situata a 4 km di distanza su una vicina collina dividendola con altri.
Da allora questa fonte è stata circondata da 3 pozzi israeliani e l’acqua adesso è privatizzata, controllata e destinata all’uso da parte dei coloni.
Il 60% del territorio della Valle del Giordano è stato requisito dall’occupazione israeliana per “zone militari di tiro e sicurezza”, ma è chiaro da anni che in realtà è stato usato per un intenso sfruttamento agricolo.
Prendete qualsiasi altro aspetto della occupazione militare della Cisgiordania e troverete una politica di furto, razzismo e genocidio.