Valle del Giordano, nuove demolizioni
Di Marta Fortunato, pubblicato su Nena News il 25 marzo 2012
In due giorni nella Valle del Giordano sono state demolite 6 strutture abitative e 5 baracche per animali. Più di 50 persone sono state sfrattate.
“Tre volte in dieci mesi”. Abed Yasim Rashayida ha gli occhi lucidi ed il volto segnato. Siede con la famiglia sotto un albero senza un tetto dove ripararsi. Per la terza volta consecutiva in meno di un anno la sua casa è stata distrutta dall’esercito israeliano. Martedì 13 marzo, alle 8 di mattina, 11 jeep militari ed un bulldozer dell’esercito israeliano si sono presentati al villaggio di Fasayil al-Wasta ed hanno demolito 3 case e 5 cinque strutture per animali. La famiglia di Abed Yasim Rashayida e quella dei suoi due fratelli Hassan Yasin e Khader Mohammad hanno avuto un quarto d’ora di tempo per lasciare la propria abitazione e prendere gli affetti personali. Poi le loro tende e i recinti delle pecore sono state distrutti. La stessa scena si è ripetuta due giorni dopo, mercoledì 14 marzo, nel villaggio di al-Jiftlik, nella parte centrale della Valle del Giordano: 3 case sono state demolite in meno di due ore, 22 persone lasciate senza un letto dove dormire.
Ibrahim Bsharat, uno dei proprietari delle strutture demolite, ha raccontato di aver visto i bulldozer avvicinarsi e di aver mandato via in malo modo gli ospiti presenti in casa. “Ho solo fatto in tempo ad uscire, poi gli israeliani hanno distrutto tutto, niente si è salvato”. Il materasso matrimoniale è stato coperto di detriti e polvere, il loro armadio aperto, svuotato, le loro vite derubate, infrante.
“Ho cinque figli, tutti di età tra 1 e 5 anni, abbiamo avuto mezz’ora di tempo per prendere tutti i nostri averi, ma come fa una persona a svuotare una casa in 30 minuti?” ha raccontato Ayman, quasi incredulo, davanti alle rovine di quella che fino a cinque minuti prima era la sua casa.
Al-Jiftlik e Fasayil al-Wasta sono due villaggi della Valle del Giordano a pochi chilometri di distanza uno dall’altro, che condividono le stesse tragiche condizioni di vita, la stessa lotta per la sopravvivenza.
Il villaggio di Fasayil sorge a meno di venti chilometri a nord di Gerico ed è diviso in Fasayil at-Tahta (bassa), al-Wasta (di mezzo) ed al-Fawqa (alta). In tutto vivono circa 1100 abitanti, ma dagli accordi di Oslo in poi essi si sono visti assegnare diritti diversi a secondo del loro luogo di residenza. “Fasayil at-Tahta sorge in area B, pertanto gli abitanti hanno diritto a costruire case, ed hanno accesso all’acqua e all’elettricità” ha continuato Abed – noi invece non abbiamo niente, non possiamo costruire e viviamo senza elettricità ed acqua”.
Il passaggio dall’area B all’area C è improvviso: la strada asfaltata finisce per lasciare spazio ad una piccola strada sterrata e le tende e le baracche per animali si sostituiscono pian piano alle case.
Dietro, poco lontano, la colonia di Tomer, creata nel 1974 su parte della terre del villaggio. Meno di 300 abitanti per un’area agricola di 366 dunum (1 dunum = 100 m²). Poco più un là, l’insediamento di Fazail, che oltre alla terra e alle risorse idriche, ha rubato, a Fasayil, anche il nome. E quella che si è venuta a creare è una situazione di totale dipendenza economica: private della principale fonte di sopravvivenza, l’acqua, e derubati della terra, queste comunità beduine hanno visto i propri campi agricoli trasformarsi in deserti aridi e secchi, mentre le colonie israeliane facevano “fiorire il deserto” con terre ed acqua rubate ai palestinesi. L’intero equilibrio su cui si basavano questi villaggi è stato spezzato e la povertà è aumentata. L’autosufficienza è diventata impossibile, la disoccupazione ha raggiunto livelli inimmaginabili e gli abitanti, un tempo pastori e contadini, sono stati costretti ad iniziare a lavorare nelle colonie. Dieci, massimo 15 euro al giorno, per 8 ore di lavoro. “In Fasayil al-Wasta più della metà dei giovani lavora nelle colonie, non hanno altre scelte” ha spiegato Abed.
E la situazione nel villaggio di al-Jiftlik è molto simile, in particolare nelle aree che si trovano sotto il totale controllo israeliano. Abu al-Ajaj, la comunità agricola di al-Jiftlik dove è avvenuta la prima demolizione, è costretta a sopravvivere senza acqua ed elettricità, mentre la vicina colonia di Massu’a, creata nel 1970, produce datteri, frutta e verdura, destinati all’esportazione. Circa 25 famiglie vivono in questa piccola comunità che ha pian piano visto sottrarsi le proprie terre coltivabili. E che viene costantemente minacciata da continue demolizioni di strutture abitative.
“Le comunità beduine della Valle del Giordano rischiano il trasferimento forzato”. A lanciare l’allarme è un recente rapporto dell’OCHA (Agenzia ONU per gli Affari Umanitari). Ed i dati parlano da soli: nei primi due mesi del 2012 le autorità israeliane hanno demolito 116 strutture palestinesi provocando lo sfratto di 220 persone. E nel 2011 il numero di demolizioni ha raggiunto un record: 622 strutture, di cui 222 case, sono state distrutte dall’esercito israeliano ed hanno lasciato senza un tetto sopra la testa 1094 persone, tra cui 698 minorenni. Di queste più di 200 strutture si trovavano nella Valle del Giordano.
Quale sarà il futuro di queste comunità? “Noi vogliamo rimanere su questa terra, vogliamo vivere in vere case di mattoni, con accesso all’acqua e all’elettricità” ha concluso Abed – gli israeliani demoliscono e noi continueremo a ricostruire”.